Brano: [...]umanità — una astrazione, poiché la cultura è il frutto della lotta vittoriosa della sanità contro l’insidia della malattia, cioè contro la tentazione di abdicare alla stessa possibilità di essere una presenza inserita nella società e nella storia. Ma proprio questa astrazione è la minaccia mortale per eccellenza: onde l’analisi della malattia trionfante presenta il vantaggio metodologico di collocarci davanti al rischio quando esso, diven50
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tando egemonico, si sottrae a quella potenza dialettica per cui, nella presenza sana, sta soltanto come momento negato e variamente redento nell’opera attuata e nel valore conseguito. Presenza malata significa — in generale — presenza che una volta, in qualche determinato momento critico dell’esistenza, ha rinunziato a farlo passare, risolvendolo nel valore, ed è invece passata con esso. Ogni contenuto critico sta per la presenza in quanto trasceso nella oggettivazione formale, e ogni presenza si mantiene rispetto a un contenuto critico nella misura in cui dispiega il suo margine formale d[...]
[...]inattuale e simili. Una malata di Janet diceva: « Io mi sono smarrita, è orribile avere lo stesso volto e lo stesso nome e non essere la stessa persona... Voi non avete ancora visto la vera Letizia, se sapessi dov’è ve la farei vedere, ma non la posso trovare » (1). E un’altra malata: « Di tanto in tanto la mia persona se ne va, io perdo la mia persona. E’ una cosa bizzarra e
(1) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, Paris, 1928, II, p. 56.52
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ridicola, ma è come se un velario cadesse e tagliasse in due la mia personalità. Le altre persone non se ne accorgono perché io posso parlare e rispondere correttamente. In apparenza per voi io sono la stessa, ma per me le cose non stanno così » (2). E ancora un altro malato: « Ciò che mi manca sono io stesso, è terribile sfuggire a se stesso, vivere e non essere se stesso» (3). A queste esperienze della perdita della presenza fanno riscontro quella della perdita del mondo, che è avvertito come strano, irrelativo, indifferente, meccanico, artificiale, teatrale, simulato, sognante, senza ri[...]
[...]rali, separata da un muro di bronzo.
La crisi di oggettivazione non si riflette soltanto nelle esperienze di spersonalizzazione e di incompletezza di sé, e di fissità inconsistenza e artificialità del mondo, ma anche nella esperienza di una forza o tensione cieca in sé e nel mondo. Gli oggetti che non stanno in limiti oggettivi (riflettendo in tal modo l’alienarsi della stessa energia oggettivante della presenza) sono avvertiti qui come54
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forze in atto di scaricarsi, come oscure tensioni spianti la più piccola occasione per frantumare le barriere che li trattengono, e per fondersi e confondersi in caotiche coinonie. Gli oggetti che « non sono più nel loro quadro » non si presentano più in questo caso con la valenza della artificialità e della lontananza, e come vulnerati da una perdita di prospettiva e di rapporto, ma si configurano piuttosto in atto di agire come potenze cieche ed estranee, che si scaricano disarticolando il reale, e incombendo minacciosamente sulla presenza: alla lontananza astrale si oppone, in una vicen[...]
[...]che l’angoscia si determina come reazione davanti al rischio di non poter oltrepassare i suoi contenuti critici, e di sentirsi inattuale e inautentica nel presente. Ciò equivale a dire che l’angoscia è il rischio di perdere la possibilità stessa di dispiegare l’energia formale dell’esserci. L’angoscia segnala l’attentato alle radici stesse della presenza, denunzia l’alienazione di sé a sé, il precipitare della vita culturale nella vitalità56
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senza orizzonte formale. L’angoscia sottolinea il rischio di perdere la distinzione fra soggetto e oggetto, fra pensiero ed azione, tra forma e materia: e poiché nella sua crisi radicale la presenza non riesce più a farsi presente al divenire storico, e sta perdendo la potestà di esserne il senso e la norma, l’angoscia può essere interpretata come angoscia della storia, o meglio come angoscia di non poter esserci in una storia umana. Pertanto quando si afferma che l’angoscia non è mai di qualche cosa, ma di nulla, la proposizione è accettabile, ma soltanto nel senso che qui non è in gioco [...]
[...]to instabile equilibrio di stimoli si riduce a una polarità praticamente automatica, accompagnata da flessibilità cerea, da ecolalia e da ecomimia: ma nei casi meno gravi la presenza ha ancora un margine sufficiente per avvertire il profilarsi della crisi. Uno schizofrenico di Arieti si rendeva conto, con crescente ansietà, che insormontabili difficoltà si opponevano alla sua azione: ogni movimento che si apprestava a compiere gli si confi58
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gurava come rischiosa possibilità di compiere un atto nocivo o inefficace, e pertanto questo malato, dominato dall’angoscia, preferiva non mangiare, non vestirsi, non lavarsi, per ridursi infine alla immobilità assoluta dello stupore catatonico (10). Il carattere estremamente contradditorio e irrisolvente di tale reazione è che l’assenza delle esperienze estatiche connesse alla vita magicoreligiosa della storia culturale umana: l’assenza dello stupore è infatti sulla linea di quella stessa perdita della presenza che costituisce il rischio della malattia, e la clamorosa contradizione del «f[...]
[...]ne per simboli allusivi sembra ricordare i miti della vita magicoreligiosa: ma i veri miti della vita magicoreligiosa ridischiudono, come si è detto, determinati valori sociali, politici, morali, poetici e conoscitivi, mentre i simboli allusivi a cui ricorre la presenza malata sono conati individuali del tutto vuoti di prospettiva culturale, e perciò sterili anche sul piano tecnico sul quale si muovono.
(11) Arieti, op. cit., p. 121 sg.60
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Analoghe considerazioni valgono per le difese improprie orientate verso il «fare». Qui i conati di recuperare la presenza riescono solo ad una caricatura ed una contraffazione della esigenza del trascendimento, in quanto ciò che dovrebbe stare sempre come materia, la vitalità, pretende di assolvere compiti formali. Così il « far passare nel valore », che comporta ima appropriazione interiore a un far morire ideale, cede il luogo, in questa forma della crisi, alla appropriazione materiale di oggetti privi di significato attuale, alla mania del raccogliere e del conservare, alla incorporazio[...]
[...]della caccia da cui dipende per intero il destino alimentare della comunità, la perdurante scomparsa della selvaggina che insieme alle radici costituisce l’unica base di regime dietetico, le vicende meteorologiche sfavorevoli che aprono per il gruppo sociale una prospettiva di morte per affamamento, la siccità che inaridisce i pascoli e uccide l’unica ricchezza del bestiame, le grandi e frequenti epidemie sterminatrici costituiscono altret62
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tante esperienze critiche di cui la moderna civiltà industriale ha perduto quasi la memoria. Restano per noi in comune con le civiltà primitive e con il mondo antico la esperienza critica della morte della persona cara e delle fasi della evoluzione sessuale (sulle quali è merito della psicanalisi aver richiamato l’attenzione) o l’insorgere delle grandi catastrofi naturali o delle malattie mortali; senza contare i momenti critici che sono connaturati alla civiltà capitalistica come tale (le crisi economiche e le forme spietate di sfruttamento), o alla atrocità delle guerre moderne, o al cru[...]
[...]lla espressione dàmonische Scheu: infatti se l’accento batte su Scheu si ha qualche cosa di praticamente identico a un puro stato ansioso, al blinde Entsetzen patologico, mentre se l’accento batte su dàmonische allora già la ripresa comincia a fare le sue prove, sia pure in modo elementare, e l’orrore non sarà più «cieco» se almeno riesce a scorgere un’immagine organicamente inserita nel mondo storico nel quale si vive, e aperta al valore.64
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Considerazioni analoghe possono farsi a proposito dell’altro momento polare del numinoso, il fascinans. La paradossia di questa polarità non costituisce affatto un nesso misterioso, da rivivere nella sua immediatezza, ma racchiude una trasparente dialettica: ciò che nella crisi repelle e soggioga, il tremendum dell’alienarsi e del perdersi della presenza, tuttavia attira e chiama al rapporto, alla ripresa, alla reintegrazione nell’umano, e questo attirare o chiamare in modo perentorio è il fascinans del radicalmente altro. Nella limitazione della esperienza religiosa ciò che chiama è il nu[...]
[...] sembrare più appropriato, quando invece rito e mito sono profondamente permeati di valenze morali, speculative, estetiche etc. allora la designazione di religione è certamente più opportuna. In sostanza il concetto di magia ha origine nella polemica culturale, allorché si tende a negare che una certa religione enuclei valori, e se ne avverte soltanto il momento meramente tecnico: nel discorso storiografico la qualifica di magia ritiene un66
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significato legittimo solo in senso comparativo, cioè per indicare una forma di vita religiosa in cui lo sviluppo del momento tecnico è relativamente grande e l’orizzonte umanistico dischiuso relativamente angusto: il che del resto è ampiamente confermato dall’uso linguistico corrente, malgrado gli elementi di confusione che vi hanno introdotto alcuni falsi teorizzamenti della scienza e della storia delle religioni. Piuttosto è da mettere in guardia gli storici delle religioni da un altro uso linguistico, che poi racchiude a vari livelli di coscienza e di coerenza una determinata teoria de[...]
[...]ecnica, è coerenza umana, che il peiv siero storiografico può ripercorrere senza lasciare proprio nessun residuo all’immediatezza (e all’arbitrio) di un mistico rivivere. Si tratta certamente di una coerenza diversa da quella dell’arte, o della vita morale dispiegata o della filosofia: ciò che qui si nega è che non gli sia immanente nessuna forma di razionalità, e che racchiuda un nucleo ' irrazionale ' irriducibile, tale da indurre il pen€8
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siero storico alla contradditoria fatica di uscire da se stesso e dalla storia umana (12).
3. La crisi del cordoglio.
La crisi del cordoglio si presenta, nel quadro delle precedenti considerazioni, come il rischio di non poter trascendere il momento critico della situazione luttuosa. La perdita della persona cara è, nel modo più sporgente, l’esperienza di ciò che passa senza e contro di noi: ed in corrispondenza a questo patire noi siamo chiamati nel modo più perentorio all’aspra fatica di farci coraggiosamente procuratori di morte, in noi e con noi, dei nostri morti, sollevandoci da[...]
[...]orte del figlio Lohier (Commi? Charles l’entent, si se set que il die, / il est cheiis pasmés devant sa baronie, / si qu’ìl ne pot parler d’une lieu et demi), i cavalieri di Aymeri alla morte del loro signore (fa et la gisent li chevalier pasmé), centomila franchi alla morte di Rolando (cent mìle Frane s’en pasment contre teré) (13).
(13) Cfr. O. Zimmermann, Die Toten\lage in den altfranzasischen Chanson de geste, Berlin 1899, p. 9 sgg.70
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L’assenza totale rappresenta il limite estremo della crisi del cordoglio: ma al di qua di tale limite stanno tuttavia determinate inautenticità esistenziali della presenza, caratterizzate dal recedere verso l’assenza, e dall’irrisolvente patire e dibattersi per questo recedere. Sulla linea di tale recessione, ma al di qua del suo termine estremo, si trova uno stato psichico che in concreto può manifestarsi con varie sfumature individuali, ma che tipologicamente resta definito da una ebetudine stuporosa senza parola e senza gesto, e senza anamnesi della situazione luttuosa: uno stato simile[...]
[...] comincia ad « andar oltre » in modo irrelativo: e suo « oltre » irrelativo riflette il rischio della stessa potenza oltrepassante che invece di
(15) Eur., Troiane, vv. 110 sg. Nella ripresa istituzionale del lamento funebre questo momento di smarrimento è diventato spesso un modulo: p. es. ite naro? Ifispero? (che dico, che spero?) nel lamento funebre sardo o come vogghìe fa? Come agghia fa? (che cosa fare?) del lamento funebre lucano.72
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« andar oltre » alle rappresentazioni relative a questo suo contenuto, oggettivandole nel valore, comincia essa stessa a diventare il vuoto oltre, e quindi la crisi, dell’oggetto. E’ possibile dedurre, assumendo questo criterio ermeneutico, le varie esperienze morbose che nascono dal rapporto non autentico col cadavere in quanto centro emozionale della situazione luttuosa. Il cadavere appare una « estraneità radicale » : infatti esso tende a sottrarsi alla potenza formale, e il suo « oltre » —> che solo per entro il rapporto formale si determina — sta diventando « vuoto ». Il cadavere appa[...]
[...]orché può sembrare che talora si tratti degli stessi espedienti adoperati nel lavoro efficace, la considerazione della dinamica in cui sono inseriti ci rende avvertiti che il segno nei due casi è opposto, e che i valori della vita umana nel primo caso si stanno drammaticamente ridischiudendo, e nel secondo si stanno dileguando. In un’ultima istanza in questi deliri di negazione si avverte che la presenza non ri
(16) Bue., Medea, 12051220.74
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solve la situazione luttuosa, ma semplicemente l’ha perduta, e non vi spende intorno nessun lavoro produttivo. Ciò appare particolarmente evidente in quelle ancor più gravi crisi in cui tutta la situazione luttuosa è colpita da un patologico oblio, e la presenza riemerge dalla rescissione in modo apparente, onde nasce una inautenticità esistenziale nella quale la presenza si dibatte divisa fra la perdita della attualità del reale e il ritorno irrelativo del passato rescisso, il quale torna nel modo più inautentico, cioè senza appartenere alla stessa presenza, e quindi senza poter essere ri[...]
[...]to patologico che abbiamo sommariamente descritto, mette in rilievo come il tratto morboso più saliente fosse l’arresto della personalità alla situazione luttuosa, e la successiva incapacità di « accrescersi per raggiunzione e assimilazione di elementi nuovi » (19): il che significa che la crisi del cor
(18) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, II, 1928, p. 350, 367; cfr. p. 281.
(19) P. Janet, L'état mentale des hystériques, 1931, p. 82.76
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doglio è tale nella misura in cui spezza la « durata » della vita spirituale, pietrificandola in un « atomo psichico » che compromette la fluidità stessa della presenza, e che è fonte di inautenticità esistenziale. Relativamente più impegnata e complessa di quella del Janet è la teoria psicoanalitica del cordoglio, che fu inaugurala dal Freud nel suo scritto Tauer und Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza s[...]
[...]ressività verso l’esterno, le orgie sessuali e alimentari che chiudono il periodo di lutto richia
(24) Freud, Op. cit., p. 552 sg.
(25) Freud, Ges. Schr., VI, p. 374. Cfr. K. Abraham, Obie\tsverlust und Introjek.' non in den normcden Trauer in abnormen psychischen Zustànden, in Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Libido, 1924, pp. 22 sgg. e C. Musatti, Trattato di psicanalisi, 1950, II, p. 271.
(26) K. Abraham, op, cit., p. 27.78
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mano la fase maniacale che segue a quella malancolica nella forma clinica della cosiddetta psicosi maniacadepressiva. Le affinità fra cordoglio primitivo (o antico) e il quadro clinico della melancolia spinsero Géza Roheim a tentare una nuova interpretazione del cordoglio e delle forme di depressione melancolica o di aggressività maniacale che possono accompagnarlo. Se le autoaccuse e le autopunizioni del melancolico sono originariamente dirette a un’altra persona che ora è stata identificata con l’io, le autoaccuse e le autopunizioni che hanno luogo durante la crisi del cordoglio, e che s[...]
[...] il rischio del cordoglio e la minaccia di una crisi nella quale possono apparire, degradati sul piano meramente vitale e in una vicenda impropria e irrisolvente, i compiti ai quali l’ethos del trascendimento sta venendo meno: una crisi in cui il far morire ideale e interiore può scadere nell’impulso ma
(28) M. Klein, Mouming and its relations to maniedepressive states, in Contributions to Mychoanalyses 19211945, London 1948, pp. 311 sgg.80
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terialmente distruttivo, l’interiorizzazione del morto smarrirsi nel mangiare il morto, la necessità della ripresa e della liberazione degradarsi nello scoppio irrefrenabile di riso, nell’erotismo e nella fame, e infine il complesso degli scacchi del trascendimento essere avvertito come estrema abiezione e come colpa radicale. Questa critica di principio alle teorie psicoanalitiche del cordoglio ci dispensa, almeno in questa sede, dairesaminarne le singole parti e dal discutere il romanzo etnologico di Géza Roheim: a noi basti aver spinto la polemica quanto occorre per ribadire quella trad[...]
[...]una persona cara noi sperimentiamo al più alto grado l’esprezza di questa fatica, sia perché ciò che si perde è una persona che era quasi noi stessi, sia perché la morte fisica della persona cara ci pone nel modo più crudo davanti al conflitto fra ciò che passa irrevocabilmente senza di noi (la morte come fatto della «natura») e ciò che dobbiamo fai passare nel valore (la
(29) Croce, frammenti di Etica, 1922, pp. 2224, cfr. p. 21 e 111.82
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morte come condizione per l’esplicarsi della eterna forza rigenerante della « cultura). La fatica di « far passare » la persona cara che è passata in senso naturale, cioè senza il nostro sforzo culturale, costituisce appunto quel vario dinamismo di affetti e di pensieri che va sotto il nome di cordoglio o di lutto: ed è la « varia eccellenza» del lavoro produttivo e differenziato a tramutare lo « strazio » — per cui tutti gli uomini rischiano di piangere « ad un modo» — in quel saper piangere che reintegra l’uomo nella storia umana. A questo punto comincia a prendere consistenza un definit[...]
[...]ner, 1 Die Selì^nam, Mòdling bei Wien 1931, p. 550 sg.
(31) Op. cit., pp. 547 sgg. (legamento del cadavere), 550 (dissimulazione del tumu* lo) 566 (tabu del nome), 552 sg. (bruciamento delle appartenenze).
(32) Strehlow, Die Aranda und Loritja Stàmme im ZentralAustralien, Veroffenti ichungen aus dem stadtlichen Museum, Frankfurt a.M., IV, 2, pp. 15 sgg.
(33) J. H. Steward, Ethnography of thè Owens Volley Paiute, in « University of84
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Eppure questi dati etnologici (che potrebbero essere moltiplicati a piacere) non agevolano gran che nel compito di « continuare a pensare» il pensiero racchiuso nel passo del Croce. La nostra lontananza ideale dalle civiltà primitive, la mancanza di una documentazione diretta relativa al loro passato, il carattere equivoco dello stesso termine « primitivo » e infine i limiti inerenti alle monografie etnografiche di cui dobbiamo avvalerci quando manchi la opportunità di una ricerca personale in loco, costituiscono altrettanti ostacoli per chi volesse direttamente appoggiarsi al materiale et[...]
[...]to funebre rituale si collega saldamente, nel mondo antico, al mito del nume che muore e che risorge, cioè a uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo: questo rapporto è così organico da impedire di considerare l’antico lamento per i morti al di fuori del grandioso orizzonte mitico del nume morto e risorto, sia esso Osiride o Tamùz o Baal o Adone o Dioniso o Kore, e quindi al di fuori del pianto rituale e86
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del giubilo che nel rito attualizzavano la vicenda mitica di questi numi. Nel che troviamo una conferma che il pianto rituale rappresenta nel mondo antico non soltanto un importante momento dei rituali funebri, ma proprio il tema centrale di quel particolare saper piangere davanti alla morte che fu proprio delle civiltà religiose mediterranee. La crisi decisiva di questo istituto culturale fu inaugurata col Cristianesimo: il quale su tutta l’area della sua diffusione si scontrò col lamento funebre e aspramente lo combatte, respingendolo non già nei suoi eccessi parossistici o per ragioni s[...]
[...]ut portem Christi mortem, come si legge nella sequenza dello Stabat. Ma questo altissimo modello del dolore cristiano non poteva operare realmente nella storia e svolgervi la sua effettiva pedagogia dell’umano cordoglio se non avesse saputo rag
(35) Ambbr., De obìtu Valent., 39 CSEL 73, p. 348 Faller.
(36) Sullo Stabat resta fondamentale il lavoro di C. Ermini, Lo Stabat Mater e il pianto della Vergine nella lirica del Media Evo, 1916.88
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giungere sul piano terreno la crisi che nel cordoglio sta come rischio, e se non avesse assorbito e trasfigurato le tecniche pagane di controllo e di reintegrazione. Solo raggiungendo questo piano il modello mariano del dolore poteva trascinare i dolenti verso la nuova meta religiosa e culturale, e non importa se esso doveva affrontare tutti i rischi del compromesso, del sincretismo e del ritorno al passato. Qui sta il germe della profonda necessità storica degli sviluppi drammatici del planctus Mariae. Negli apocrifi Acta Pilati (che risalgono alla prima metà del quinto secolo) il pianto [...]
[...]i, 1949, pp. '2566. Frammenti tradotti del Christos Paschon anche in Canterella, Poeti Bizantini, II, p. 191201. Per la discussione delle quistioni relative e per la bibliografia sull’argomento cfr. C. Del Grande, Tragoidia, 1952, pp. 225 sgg., p. 322 sg.
(39) Sul rapporto, fra planctus e passione drammatica cfr. E. K. Chambers, The medieval Stage, 1903, II, p. 39 sg. e p. Young, The drama of thè medieval Church, Oxford 1933, I, p. 493.90
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Magdalena:
(hic vertat se ad homines cum brachi) s extensis)
O fratres!
(hic ad mulieres)
Et sorores!
(hic percutiat sibi pectus)
Ubi consolatio mea?
(hic manus ellevet)
Ubi tota salus?
(hic, inclinato capite, sternat se ad pedes Christi).
Maria Maior:
(hic percutiat manus)
O dolor!
Proh dolor!
Ergo quare,
(hic ostendat Christum apertis manibus) fili chare pendes ita cum sis vita
(hic pectus percutiat suum) manes ante secula?
.........(40)
Il rapporto è ancora più evidente nei compianti in volgare. In un testo cassinese della passione [...]
[...]tus per l’arcivescovo Fulco di Reims composto dal canonico Sigloardo (sec. X) segue all’intercessione per i defunti l’invito: Amen, fiat ita, Dicat omnis ecclesia; e un planctus per il duca normanno Guglielmo morto nel 943 si apre con la seguente didascalia di esecuzione: Cuncti flètè prò Wilhelmo Innocente interfecto (cfr. H. Springer, Dos altporvenzalische Klagelied mit Beruc^sichtigung der verwandten Uteraturen, Berlin 1895, p. 16 sg.).92
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la morte, la figura di Maria si adattò persino ad accogliere gli aspetti più arcaici del cordoglio antico, come il cadere inanimata ed il percuotersi il petto e il graffiarsi le guance ed il lamentarsi, secondo che narrano gli Acta Pilati: ma la sua figura di madre in lutto resta sostanzialmente legata ad un’altra immagine pedagogicamente egemonica, al suo stare raccolto, immobile e muto del Vangelo giovanneo, o al contemplare velato di lacrime della sequenza dello Stabat. Ed il centro della cristiana religione non è nel cordoglio di Maria come tale, ma in quel « portare Christi mortem » c[...]
[...] peccati e per la passione di Cristo, a lungo resistendo alle tentazioni del diavolo, che le adduceva davanti agli occhi cadaveri di persone a lei care, come per risvegliarla al mondano patire: finché la santa vinse la lotta, e si votò interamente alla lamentazione per Cristo morto, onde notturno silentio, dormiente jamula et illis de domo, fortibus clamoribus et duris lamentationibus deplorabat dilecti sui ]esu Passionem, crinibus resolutis.
Ernesto De Martino